Un Caveau nella Cava d’Ispica In terra di Ragusa, Claudio Maucieri dà forma a un'insegna vertiginosa, immersa in un parco archeologico. Per un dialogo costruttivo tra la forza della natura, la pizza contemporanea e le ataviche tracce della memoria. Storia, territorio, natura, autenticità. Tutto questo vuol comunicare Claudio, in un locale ancestrale e rurale, denso di charme. “È difficile descrivere le emozioni che si provano vivendo e vedendo questo luogo”, confessa il pizzaiolo. Che tiene aperto sin dal mattino. Proponendo una colazione rinforzata. Un brunch tuffato nell’archeologia, orgoglioso di inchinarsi alle eccellenze autoctone. “Serviamo le salsicce di maialino nero di Palazzolo Acreide (un Presidio Slow Food, ndr); la tartare di vacca modicana; la ricotta e il ragusano dell’azienda agricola Floridia. E poi ci sono tutte le verdure dell’orto”, spiega il lievitista. Che chiama all’appello la sua amatissima creatura: la pizza. Presentata in triplice versione: una tonda romana, messa a segno con Petra Evolutiva in purezza (in un inno alla biodiversità siciliana); una classica napoletana con Petra 5037; e un padellino “performante”, all’insegna di Petra 0102 HP, preziosa di grano tenero parzialmente germogliato. “Una farina perfetta anche per la pizza in teglia”, puntualizza Maucieri. Pizze battezzate con i nomi dei siti più iconici della Cava d’Ispica. Detta anche Cavarispica, che concentra porchetta, burrata, rosmarino e fonduta di ragusano. Che finisce pure sulla Marchionale (come il palazzo), insieme a totani, crema di zucchine, porri, timo e menta. Mentre la Barrera (con riferimento alla vetusta strada tutta a curve) inanella crema di cipolle, carciofi, fiordilatte e prosciutto cotto; la Scalaricotta (a ricordare le tombe a forno) elegge filetto di maialino nero, crema di piselli, burrata e rosmarino; e la Sant’Ilarione, rammentando una celebre grotta, incensa tartare di vacca modicana, burro alla salvia e datterini gialli. Senza dimenticare la pizza Cento Scale, pronta a rammentare un tunnel scavato nella roccia (con oltre 280 gradini) e pensato per l'approvvigionamento idrico. Da percorrere fra mortadella, burrata, granella di pistacchi e crema di rucola e melissa. “Inoltre cerco di valorizzare il pesce”, commenta Claudio. Che incorona il gambero rosso di Mazara nella Mediterraneo; che dà spazio al baccalà nella Valleforno (limone e menta a supporto); che dà voce al pesce spada nella Focallo, complici broccoli, patate, limone e timo; che fa l’inchino al pesce spatola, nella Maccone Bianco; e che omaggia il carpaccio di tonno nella Larderia, con corredo di crema di cipolle, capperi e datteri gialli. Accendendo i riflettori su un complesso di nicchie sepolcrali ipogee. E il forno? È “archeologico” pure lui. “Sì, è ricoperto da tegole, che assorbono e rilasciano l’umidità. Ed è alimentato con legna di carrubo, ulivo e piante d’agrumi. Ma prima del forno, all’ingresso, spicca un buco. Noi lo chiamiamo tannura. La pizza la finiamo di cuocere proprio lì, tra la cenere e una copertura di foglie di fichi e noci. Così si crea il fumo. E la pizza assorbe i profumi della campagna”. Fornace agreste dove finisce anche il pane, altro cult di Claudio. Che, a mezza cottura, lo posiziona nella tannura. “Lo preparo con Petra 0104 HP, ricca di di farro integrale germogliato e grits di ceci germogliati. Regala un impasto aromatico, ottimo con i salumi e i formaggi. Ma col pane faccio anche le bruschette. O meglio, traduco le pizze in bruschette, utilizzando i medesimi topping. Ideali per uno spuntino. Altrimenti, prendo la fetta di pane, la metto a mollo nell’acqua e poi la friggo. Farcendola con acciughe e pomodori, con la caponata e con la raia, ossia la razza. Oppure con la rana pescatrice, l’anguilla e quello che ci porta il pescatore”. In perfetta sintonia con i tempi della natura.