“Ho una mamma brasiliana, un papà di Rovigo e la resina nel sangue”. Si presenta così Livio Mancini: millesimo 1975, natali nella bellunese Domegge e una mente concentratissima sulla sua pizzeria El Gringo, a Calalzo di Cadore. Che ha una nuova sede: in via Nazionale. “Ma il locale storico, quello in via Mazzini, c’è sempre. Lo stiamo solo risintonizzando su una serie di progetti in divenire”, svela Livio. Che per anni è stato fagocitato in tutt’altro. “Sì, ho fatto il rappresentante di occhiali. Questa è un’importante zona di produzione di questo accessorio. Ho viaggiato molto, soprattutto nel nord-est. E se non avevo modo di cucinare ho potuto vedere e assaggiare quello che cucinavano gli altri. Specialmente la pizza. Perché la pizza è un alimento top. È un piatto completo, democratico, trasversale. Un contenitore di elementi che, in un menu classico, verrebbero scanditi in più portate. Invece lei riesce a concentrarli in una pietanza”. Così Livio si innamora della pizza. E finisce per lavorare in pizzeria. Proprio a El Gringo, aperto nel 1968 da un tale appassionato di film western. Al punto da mettere a punto un vero saloon. Finché Mancini decide di rilevarlo, nel 2012. Tenendo il nome. “Perché con el gringo si indica una persona straniera. E tutte le diverse gestioni del locale sono state in mano a forestieri. Un po’ come siamo anche noi”. Ma dando voce alla sua filosofia. “Sin da subito avevo ben chiari i miei obiettivi. Creare una pizzeria che proponesse solo pizza. Ma in tutte le sue espressioni e declinazioni. Dalla pala al padellino, dalla tonda a quella più sottile. Per esempio, io amo molto anche andare all’estero, per vedere e capire che tipologie fanno”, spiega Livio. Che predilige le farine high performance: da Petra 3 a Petra 9, sino a Petraviva. “Quest’ultima la uso per i bun, i pani dedicati ai burger. Ma proponiamo anche i maritozzi salati. A base di Petra Evolutiva e semola rimacinata di grano duro. Gli impasti vengono cotti a vapore, per poi passare in forno e indossare una crosticina vetrosa. Così risultano soffici e croccanti. Praticamente dei bao che vogliono fare i maritozzi”. Fra i cult: il maritozzo al nero di seppia ripieno di baccalà mantecato. Per una crasi romano-veneta. Oppure quello al cocktail di gamberi, complice una salsa rosa realizzata con la grappa (al posto della vodka). “Mi piace rileggere le ricette. Anche del passato. Rendendo onore persino agli anni Ottanta. Perché quello che conta è regalare emozioni”, continua il patron. Che mette in lista la pizza al padellino con Manzo Tonnato; e la classica tonda Mari e Monti, preziosa di gamberoni, porcini e topinambur. Localmente detti cartufole. “È un po’ traduzione del tedesco kartoffeln”, precisa lui. Che adora sporcare il cornicione con un po’ di salsa di porcini. Oppure con un pochino di pesto al basilico, come accade nella Bufala Special. “È un modo per educare ed esortare l’ospite a mangiare il cornicione. Che è una parte importante della pizza”. Senza dimenticare una delle pizze must: quella con cime di rapa e pastin bellunese. “Ci tengo ai prodotti del territorio, ma non tengo il territorio come limite. Quello che offre il mondo noi lo compriamo e lo condividiamo”, puntualizza el gringo. Che ha dato forma a un ambiente giovane, poliedrico e vivace, con 75 posti a sedere, un laboratorio di 50 metri quadrati e un angolo-bottega. “Non ho assolutamente voluto un arredamento alpino. Perché non è detto che uno in montagna abbia sempre voglia di mangiare in una baita. Ho preferito dar voce a essenzialità, dinamicità e flessibilità”.