Nomen omen. “Tante volte devo tirar fuori la carta d’identità perché non ci credono”, spiega, mentre sorride, Matteo Dolcemascolo. Millesimo 1989, radici romane, il buon cibo nel dna e terza generazione di una dinastia di pasticceri. Certo, perché fu nonno Salvatore ad avviare un’artigianale attività nella Città Eterna, negli anni Sessanta. Eredità colta con successo dalle mani del figlio Massimo. Che nel 1990 decide di trasferirsi a Frosinone. “La Capitale era troppo grande. Papà, il vero artista di famiglia, desiderava una città più piccola, gestibile, a misura d’uomo. Così la scelta cadde su Frosinone, in Ciociaria. Che attenzione, non è la periferia di Roma”, puntualizza Matteo. Felice di rimarcare la spiccata identità di un territorio che conta ben 91 comuni. Una terra crossover: a un’ora da Roma, ma pure a mezz’ora dal mare e dalla montagna. Frosinone. Il quartier generare dei Dolcemascolo. Visto che ora sono Matteo e il fratello Simone a portare avanti l’insegna che porta con orgoglio il loro cognome. Il che significa un dinamico punto vendita, un laboratorio di produzione e sperimentazione e uno shop online. Per arrivare ovunque. “Perché vogliamo comunicare con orgoglio la nostra terra”, commenta Matteo. Che fa il maritozzo. Dolce e salato. “Lo farcisco con verdure di stagione, con salse a base di cicoria, lattuga e broccoletti, e con i salumi locali, come il guanciale e la salsiccia secca”, continua. Ribadendo la matrice artigianale, la fede nelle materie prime di qualità e il rapporto agricolo con i produttori della zona. Della serie, quando la Ciociaria viene raccontata in pasticceria. E poi ci sono loro: i grandi lievitati. Come il panettone, che Matteo fa persino d’estate. “Con i frutti di bosco di Arpino. Che si raccolgono a giugno, ma che noi conserviamo sotto sciroppo, allungandone la vita”. Panettone: il motivo, la molla che ha fatto scattare la passione in Matteo. “Il panettone lo devi seguire, dall’inizio alla fine. Non puoi partire da un lievito che non sia performante, ma devi pure stare attento alla sfornata conclusiva, altrimenti rovini il lavoro di tre giorni. E poi il panettone crea un bell’ambiente intorno a lui. Crea condivisione, connessione, cultura”. Panettone, ma pure colomba. Classica, al pistacchio, ai frutti di bosco (mirtilli, more, ribes e lamponi), al cioccolato e pere. Senza dimenticare le torte pasquali. Come la pastiera, con la ricotta di pecora della Valle di Comino, il farro biologico di Arpino cotto a bassa temperatura e le uova intere (da allevamenti liberi e all’aperto) di Picinisco. Da dove giunge anche il pecorino - stagionato oltre 90 giorni - che impreziosisce il casatiello, insieme al salame corallina di Amaseno, alla mortadella di Arpino e all’olio extravergine di Prossedi. Il tutto custodito in un pack realizzato con materiali riciclabili. “Non sono amante del dolce troppo dolce. Preferisco l’equilibrio, la leggerezza e le calorie ben calibrate. Non vogliamo che i clienti vengano da noi una volta all’anno, ma tutti i giorni. Dobbiamo prenderci cura della loro salute ed educarli a un’alimentazione sana. Per questo utilizziamo ingredienti selezionati e farine ricche di fibre. Per questo proponiamo anche il cornetto senza lattosio o quello vegano. Per rispettare determinate scelte alimentari. E non mettiamo mai in vetrina quello che è di moda o che richiede il mercato. Mettiamo quello in cui crediamo”, dichiara il pasticcere. Che ha pure il suo dolce prediletto.
“Sì, il saccottino al cioccolato. Mi ricorda l’infanzia e la mia colazione prima di andare a scuola”